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martedì 5 aprile 2011
Centrale del garigliano(3)
E’ infatti proprio di oggi la notizia che la centrale nucleare del Garigliano, costruita in un’ansa del fiume omonimo, è stata nuovamente allagata dall’esondazione del Garigliano causata dalle forti e continue piogge degli ultimi giorni. La centrale, si obietterà, è spenta e chiusa dal 1982; vero, ma essa conserva ancora, non essendo stata dismessa, nocciolo e strutture radioattive, oltre che essere deposito di oltre duemila metri cubi di rifiuti radioattivi e di oltre 1000 metri cubi di rifiuti a bassa attività, chiusi in buste di plastica e sepolti attorno alla centrale, come da protocollo di sicurezza (!) in uso negli anni ’70 (il percolato di quelle fosse, “trincee” come le chiamavano i tecnici della centrale, contiene radionuclidi ovviamente non schermati).Cosa sarebbe successo se oggi, come accade con puntualità svizzera quasi ogni anno in seguito a piogge un po’ più insistenti, la natura e l’instabilità idrogeologica del territorio si fossero coalizzate per allagare una centrale pienamente funzionante?La risposta è semplice.Sarebbe accaduto quello che è accaduto 33 anni fa, nel novembre del 1979, quando una mattina l’esondazione del Garigliano allagò la centrale in pieno funzionamento. La situazione era talmente grave che a mezzogiorno fu evacuato quasi tutto il personale, e come se non bastasse la sera ci fu un blackout nazionale. La mancanza di corrente elettrica, come a Fukushima, causò il blocco delle pompe di raffreddamento e si rischiò la fusione del nocciolo, a soli due passi da qui! Un ex addetto alle teletrasmissioni della centrale dichiara ancora oggi di ripensare con gratitudine al tecnico che, in quei lunghissimi minuti, riuscì a riparare in tempo il guasto alle pompe. Ciò non scongiurò comunque una fuga radioattiva di Cesio 137, Cesio 134 e Cobalto 60 provocò la morte di 25 bufale ed una moria di pesci; l’esondazione del fiume, inoltre, portò via con sé verso il mare una certa quantità di materiale radioattivo che inquinò 1700 kmq di un tratto di mare da Gaeta al Volturno, d’estate meta di folle di bagnanti.Sarebbe accaduto quello che è avvenuto durante tutto l’arco di funzionamento della centrale (dal 1963 al 1982) e dopo nella piana del Garigliano, con la nascita di animali deformi (pulcini con tre zampe, vitelli macrocefali con 2 o 3 cervelli, maiali malformati), aumento di malattie genetiche, con casi di ermafroditismo, anencefalia e ciclopismo, aumento del tasso di leucemie nel settennio 1972-1978 pari al 44,48% (21,63% nella confinante provincia di Latina), contro una media nazionale del 7% circa (statistiche ISTAT – si veda nota in calce).Ma c’è dell’altro, come se non bastasse: una delle minacce che più preoccupano chi studia l’evoluzione dell’impianto di Fukushima è il combustibile usato nel reattore 3, il MOX, ossido misto di uranio e plutonio, uno dei tipi di combustibile nucleare più pericoloso, oltre che ineliminabile dall’ambiente. Esso, infatti, ha un’emivita di 24.000 anni, che non significa che sparisce dall’ambiente, ma che dopo 24 mila anni si dimezza, dopo altri 24 mila anni diventa un quarto della quantità iniziale, poi un ottavo e via così per altre centinaia di migliaia d’anni. Ebbene, nella “sperimentale” centrale del Garigliano furono intercalate barre di plutonio tra quelle di uranio, aumentando in maniera colossale il rischio di quel lontano incidente.Quello del novembre del 1979 fu solo l’ultimo di una serie di incidenti (le fonti ufficiali parlano di 10, quelle ufficiose di 18), il primo dei quali addirittura prima che la centrale fosse “accesa”. Per rimettere in moto il reattore servivano interventi di adeguamento alla sicurezza che prevedevano, tra l’altro, un nuovo impianto di raffreddamento di emergenza. I notevoli costi di tale adeguamento suggerirono all’Enel di chiudere la centrale, cosa che fu fatta nel 1982.
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